10 giugno 2016

RECENSIONE: "STORIA DI UNA CAPINERA" di GIOVANNI VERGA

SALVE A TUTTI VIAGGIALETTORI BENVENUTI O BENTORNATI SUL MIO BLOG!!!

Come stanno andando i primi giorni di caldo?? Da me la sera torna il fresco e quindi più che temperature estive stiamo vivendo la primavera che praticamente non c'è stata.
Sono qui oggi per parlarvi di un classico della letteratura italiana che mi ha davvero sorpreso, stavolta lo dico in senso positivo ;-)! Vi spiego tutto nel post, spero vi piaccia, BUONA LETTURA!!!


TRAMA: Maria è una novizia, ha vent'anni e vive a Catania. La sua vita sta per cambiare radicalmente, lei e la sua famiglia si sono dovuti allontanare dalla città a causa del colera e al suo ritorno dovrà prendere i voti abbandonando tutto e tutti.
La ragazza si ritrova a vivere gli ultimi giorni di libertà conoscendo la bellezza della natura, dell'amicizia e dell'amore nella consapevolezza di doversene allontanare di lì a poco.
Con questo racconto Verga si allontana dal Verismo per approdare nella severa denuncia sociale nei confronti di quanti obbligano le figlie a scelte così dure per la vita di chi non le accetta.


Titolo: Storia di una capinera
Autore: Giovanni Verga
Casa Editrice: Newton Compton
Anno: 2013 (Ristampa)
Pag:125
Prezzo: 0,99 euro 



VALUTAZIONE:


Mi sono approcciata a Verga con la lettura de I MALAVOGLIA molti anni fa durante gli anni di studio (ma non obbligata dallo studio) pensando di trovarmi davanti ad un opera che trattasse si di una famiglia di pescatori, ma quantomeno scritta in un linguaggio comprensibile, sebbene fossi a conoscenza dell'uso del dialetto siciliano al suo interno.
Devo dire che il mio giudizio per quell'opera all'epoca non era stato positivo per niente. Sicuramente il dialetto e la mole di studio che avevo da affrontare non mi hanno permesso di apprezzarlo appieno e per questo mi sono ripromessa di rileggerlo.
Totalmente diversa è stata l'esperienza che ho avuto avvicinandomi, per curiosità, a STORIA DI UNA CAPINERA. Non sapevo cosa aspettarmi e visto i precedenti ci sono andata comunque con i piedi di piombo, ma devo dire che, a lettura ultimata, sono stata veramente contenta di aver dato una nuova possibilità a questo autore.
Con questo libretto breve ma molto intenso, Verga si allontana dalla produzione verista per avvicinarsi alla denuncia sociale, la storia parla, infatti, di una giovane novizia, Maria, che si trova a vivere gli ultimi giorni di libertà, prima di entrare in convento, sui monti della campagna siciliana insieme alla sua famiglia scappata da Catania per evitare di essere colpiti dal colera.
La sensazione che ha attraversato tutta la mia lettura è stata di angoscia continua e di straziamento soprattutto nella parte finale della storia.
La vicenda è una denuncia che l'autore fa nei confronti di tutte quelle famiglie che hanno obbligato le figlie a privarsi della loro vita per essere rinchiuse in un convento. Sicuramente ci sono stati anche i casi in cui il convento rappresentava la sola via di uscita per il mantenimento di quei bambini, soprattutto per le famiglie più disagiate, ma comunque si tratta di una vita violata e castrata.
Tra le pagine del libro si percepisce sempre più forte la sensazione di soffocamento provocato proprio dal continuo riferimento al ritornare al convento di questa giovane donna.
Aleggia un senso di paura e smarrimento, ma anche di rifiuto per una vita che non è del tutto certa di voler percorrere.
La storia è raccontata attraverso una serie di lettere che Maria, la nostra protagonista, scrive ad una sua amica e compagna di convento che, però, a differenza sua, non dovrà tornare in convento, ma vivrà liberamente facendo le sue scelte.
Le vicende che Maria racconta sono tutte legate ad un periodo trascorso con la propria famiglia, ed è proprio in questa occasione che Maria scopre l'esistenza di una vita al di fuori del convento.
La giovane novizia ci è presentata come una donna in continuo tormento e indecisione e allo stesso tempo si sente anche la sensazione di gioia nello scoprire il mondo, per quanto semplice possa presentarsi davanti ai suoi occhi.
Scorrendo nella lettura si avverte in maniera sempre più chiara la tragedia interiore vissuta da Maria, tanto che sono frequenti i momenti in cui la stessa, nelle lettere scritte alla sua amica, tende a confrontare la vita del convento con tutto quello che c'è al di fuori di esso. Molto presente è la continua analisi di sé e della sua condizione. Ad esempio quando ammira la bellezza del paesaggio che la circonda, subito dopo si domanda come il suo Dio possa costringerle a vivere senza tutto ciò

"Tutto qui è bello, l'aria, la luce, il cielo, gli alberi, i monti, le valli, il mare! Allorché ringrazio il Signore di tutte queste belle cose, io lo faccio con una parola, con una lagrima, con uno sguardo, sola in mezzo ai campi, inginocchiata sul musco dei boschi o seduta sull'erba. Ma mi pare che il buon Dio debba esserne più contento perché lo ringrazio con tutta l'anima, e il mio pensiero non è imprigionato sotto le oscure volte del coro, ma si stende per le ombre maestose di questi boschi, e per tutta l'immensità di questo cielo e di quest'orizzonte. Ci chiamano le ELETTE perché siamo destinate a divenire spose del Signore: ma il buon Dio non ha forse fatto per tutti queste belle cose? E perché soltanto le sue spose dovrebbero esserne prive?" 
L'andamento dei pensieri di Maria è gradualmente sempre più spietato, passatemi il termine, anche nei suoi stessi confronti. Dico questo perché mano a mano che incomincia a vivere la sua vita, seppure per un breve periodo di tempo, Maria sente su di sé il peso gravoso della sua natura conventuale che la porta a considerare tutto quello che fa, anche un momento di gioia, come un ipotetico peccato. Arriva a non sapere se desiderare di avere una famiglia, che vive normalmente la sua quotidianità, possa essere giusto o meno. 
Non dimentichiamoci che stiamo parlando di una ragazza di venti anni che non ha nulla a che vedere con le ventenni di oggi, grandi grosse e vaccinate e  che pensano autonomamente a cosa fare o come gestire la propria vita. Stiamo parlando di una ragazza che per la prima volta, dopo tanti anni di semi clausura, scopre la bellezza del mondo, il contatto con la famiglia, la conoscenza di persone diverse che hanno pensieri non necessariamente condizionati, o comunque non in modo eccessivo, dal pensiero religioso. 
E credo sia questo il punto centrale della denuncia che Verga vuole fare contro questa realtà.

"Marianna son convinta che a noi, poveri cuori deboli e timidi, tutto cotesto tumulto del mondo, tutte coteste sensazioni potenti, tutti cotesti piaceri facciano un male immenso. Siamo degli umili fiorellini avvezzi alla dolce tutela della stufa, che l'aria libera uccide. Ti rammenti come io ti scrivessi di essere allegra,felice, due mesi or sono? Come ogni nuova emozione fosse un tesoro pel mio cuore avido di contentezza? Come ringraziassi il mio buon Dio di tutte quelle sensazioni piacevoli a cui si schiudeva l'anima mia benedicendolo?... E' vero, Marianna! Purtroppo è vero quello che ci dicevano sempre le monache, e che il Padre Anselmo ripeteva dal pulpito; le vere gioie tranquille, serene, durevoli, son quelle del chiostro. Io non saprei spiegartene la ragione, ma quelle del mondo non son sempre le stesse. Io l'ho provato... io che mi trovo così cangiata! Tutto mi stanca, mi pesa, mi dà noia... tutto mi è argomento d'inquietudine, di turbamento... ed anche di sgomento... Lo stesso non saper trovare una ragione agli impeti improvvisi di allegria folle e quasi delirante, ed alle repentine tristezze che mi assalgono, mi spaventa. Mi sento infelice in mezzo a tutti cotesti doni del Creatore che benedissi una volta..." 

La paura di vivere la realtà, è anche questo quello che ho letto tra le righe di queste lettere, la paura di provare emozioni di felicità anche al di fuori delle mura del convento. Una paura che, però, non è assoluta in Maria. Molte volte afferma di non voler tornare al convento soprattutto quando si innamora di un giovane, appartenente ad una famiglia che si trova sulle montagne.
L'amore è travolgente. Maria si sente trasportata da questa forza immane, e allo stesso tempo è terribilmente spaventata della conseguenza di tutto questo, soprattutto davanti a Dio. Se inizialmente il suo amore per questo ragazzo, Gigi, la porta solo ad immaginare se stessa nelle vesti di una ragazza, diciamo così, normale, con il ritorno al convento diventa una ossessione per lei, e il motivo scatenante di una crisi di nervi che le causerà gravi conseguenze anche al suo corpo.

"Vorrei esser bella come ciò che sento dentro di me; getto uno sguardo su di me, sorpresa io stessa di cotesta curiosità insolita, e mi rattristo non trovando in me che un fagotto di saja nera, dei capelli tirati sgarbatamente all'indietro, maniere rozze, timidità che potrebbe sembrare goffaggine... e mi veggo accanto altre ragazze eleganti, graziose, che non fanno peccato se amano come me... Arrossisco di me stessa, arrossisco del mio rossore... e poi... non ti ho ancora detto tutto! C'è un'altra croce; c'è il timore che cotesto segreto che mi chiudo gelosamente in seno venga scoperto! Aver paura del tuo rossore, del tuo pallore, del tremito della tua voce, del battito del tuo cuore! Sembrarti che tutta te stessa ti accusi, che tutti stiano a spiarti... e sentirti presso a morir di vergogna se questa disgrazia accadesse! Arrossisco di quello che sto scrivendo, di quello che tu leggerai..."

L'amore diventa quindi per Maria la sua paura più grande, un segreto da tenere gelosamente nascosto e custodito, anche a se stessa. Un sentimento da reprimere, con difficoltà, vista la portata travolgente che questo ha avuto sulla ragazza. Un amore che diventa, come ho detto ossessione e non posso spiegarvi il motivo, altrimenti vi rendo nota la verità che le pagine vi mostreranno poco a poco in modo del tutto inaspettato.
Altro grande tema è secondo me quello dell'abbandono, dell'essere abbandonata dalla propria famiglia, di non vedere in loro neanche un minimo accenno al volerla lasciare con loro, di non riportarla in convento. E' una condizione di impotenza generale che spinge anche il lettore a provare pena per questa ragazza dal destino ineluttabile.

Mi sono completamente immersa nella lettura di questo piccolo libricino. E' sicuramente la migliore lettura che ho affrontato durante questo mese e devo dire che sono stata molto contenta di aver superato le reticenze iniziali su questo autore.
La storia di Maria inevitabilmente richiama l'altra monaca della letteratura del'epoca, Gertrude, meglio nota come la monaca di Monza presente ne I PROMESSI SPOSI. 
In questo caso però Verga ci presenta una ragazza completamente straziata da questa sua doppia personalità, se possiamo dire così. Se da una parte c'è la giovane di venti anni che affacciandosi alla vita vuole goderne a pieno, dall'altra c'è la monaca che si tormenta di aver peccato anche quando magari non è il caso di farlo. E' ovvio che la parte che prevale in lei è quella della ragazza che vuole vivere la sua vita ma non può farlo. La differenza sta quindi nel diverso approccio alla imposizione che le due donne finiscono con l'avere, sebbene la condizione sia la stessa.
Maria è vittima di una decisione che la consuma lentamente e la corrode psicologicamente e poi fisicamente. Continuamente travolta dai sensi di colpa che lacerano i suoi pensieri e il suo essere, lacerazione che, come ho detto più volte, è visibilissima nelle pagine che sono un graduale cammino verso la pazzia.
La storia è raccontata attraverso una serie di lunghe lettere che Maria scrive alla sua amica Marianna, una sorta di epistolario che, però, acquisisce tutti i caratteri del soliloquio e del flusso di coscienza che porta in molti punti il lettore a voler rincuorare la ragazza e la sua fragilità.
Insomma un libro che mi è piaciuto molto, molto scorrevole e fluido nonostante la presenza di alcuni termini scritti in forme ormai andate in disuso ma che non danno alcun fastidio alla lettura.
Sicuramente un piccolo gioiello da leggere e tenere in libreria anche solo per avere la testimonianza che Verga non è stato solo lo scrittore del Verismo.

Anche per questa volta ho detto tutto quello che mi sentivo di dire su questo libricino piccolo ma consistente. Spero abbiate fatto una piacevole lettura e che non vi abbia annoiato troppo. Fatemi sapere se anche voi avete letto questo libro e cosa ne avete pensato.
Adesso vi saluto... al prossimo post... Un abbraccio virtuale a tutti voi e come sempre fate buone letture!!!

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