Come state amici? Io mi sto impegnando per finire di leggere gli ultimi libri della Challenge cominciata ormai due mesi fa e non sto messa proprio benissimo, a dirla con voi, ma non demordo, ho ancora una settimana e può succedere di tutto!!!
Allora, allora, allora... Oggi torno con la recensione di un libro che so che non piacerà a tutti, nel senso che si tratta di un genere particolare, c'è chi lo legge o ne è affascinato e chi non ci si avvicina proprio, ecco. A me piace molto e visto che è una lettura fatta, ve ne parlo qui in questo post! Vi lascio al post e buona lettura!!!
TRAMA: Helga è una bambina che si trova a vivere in una cantina con tante altre persone che abitano nel suo stesso palazzo durante la Seconda Guerra Mondiale. Racconto di sopravvivenza e dolore della guerra, e delle sue conseguenze, viste dagli occhi di una bambina.
Titolo: Il rogo di Berlino
Autore: Helga Schneider
Casa Editrice: Gli Adelphi
Anno: 2013 (Ristampa)
Pag: 229
Prezzo: 10,00 euro
VALUTAZIONE:
Credo di aver già avuto modo di dire come io sia affascinata dal conoscere la storia di persone che hanno vissuto l'orrore della guerra e di quello che hanno passato. Sia ben chiaro, non è una passione sadica la mia, ma curiosità di scoprire il mondo attraverso la storia di persone che hanno vissuto direttamente determinati eventi e momenti.
Non so quale sia il motivo di tutto questo, ma ricordo che il mio interesse, su questi racconti, era molto vivo già quando, molti anni fa ormai, i miei nonni mi raccontavano le loro vicende durante le cene estive fatte sul balcone di casa loro.
Un ricordo che mi commuove adesso e che mi ha lasciato, come ho detto, la curiosità di conoscere la storia di chi, come loro ce l'ha fatta, o di chi, non riuscendo a sopravvivere, ha comunque vissuto quei momenti con grande dignità, nonostante tutto.
Di Helga Schneider ho letto un altro libro che mi era piaciuto molto e mi aveva colpito, si intitola La baracca dei tristi piaceri, e ricordo che mi aveva colpito già quando, in occasione della sua uscita, era stato inserito il primo capitolo del libro all'interno di un giornale. Mi ricordo che non feci in tempo a leggerlo che alla prima occasione di entrare in libreria lo presi e lo lessi in un giorno. In questo caso invece, sentii la stessa autrice parlarne in un programma televisivo, e mi sorprese la serenità con la quale parlava di eventi che lei stessa aveva vissuto sulla sua pelle.
Ne Il rogo di Berlino ci troviamo a leggere la vita di una ragazzina, l'autrice stessa, che parla di come ha vissuto la distruzione della città di Berlino dal 1943 e al 1946, affiancando alla storia mondiale quella sua personale.
Helga Schneider più volte, nei suoi libri o interviste fatte, racconta della scelta, a mio parere terribile, della madre di abbandonare lei e suo fratello per seguire un amore più grande, quello per Hitler e la sua causa. E anche in questo romanzo non viene evitata la notizia.
Questo perché, come ho detto, l'autrice ha voluto creare una sorta di parallelismo tra la distruzione della città e quella della sua famiglia.
E' questo, infatti, ciò che mi ha colpito maggiormente di questo libro, la presenza di una sofferenza continua per la distruzione di una città e di una popolazione, e la sofferenza, ancor più grande e lacerante di un animo di bambina che, nonostante sia molto piccola (6/7 anni) si trova ad affrontare una situazione molto più grande e di totale abbandono.
"In quei mesi del 1945 tutta la mia forza vitale era concentrata sulla sopravvivenza. Non che il mio animo si fosse inaridito e il bisogno di amore si fosse quietato, al contrario. Tuttavia, la mia mente selezionava i segnali esterni a seconda della loro priorità. Senza amore si campa, senza cibo né acqua no. Avevo confinato la mia voglia di amore in un luogo recondito del mio animo, in attesa di tempi migliori, più generosi di un affetto che in realtà non avrei mai più avuto. Anche dopo la guerra la matrigna mi avrebbe rifiutata, facendomi crescere lontano dalla famiglia; e mio padre si sarebbe sottomesso al suo volere."
Il libro non è un diario, ma la storia di questa bambina che fin da pochi anni dopo la sua nascita ha dovuto vivere una vita difficile fatta, appunto, di abbandono, di assenze e di sofferenze. La prima parte del racconto è dedicata alla storia della sua vita fino al 1943. La madre aveva abbandonato i suoi due figli per onorare la causa hitleriana lasciandoli a loro stessi, data anche la lontananza del marito militare. Dopo l'abbandono inizia il loro calvario, i bimbi passano attraverso le cure di istituti e di una nonna amorevole, fino a quando il padre non decide di risposarsi.
La matrigna non sviluppò un sentimento paritario per i due bambini e questo fu motivo di asprezza da parte di Helga che vedeva nella donna una rivale nei confronti di quei pochi affetti che le erano rimasti (il padre e il fratellino) e che comunque la escludevano dalla loro sfera affettiva.
Fin da subito, infatti, Helga, fu un peso per la donna che la portò in vari istituti paventando la presenza di immaginarie malattie mentali che portarono la bambina lontano da lei. Ma allo scoppiare della guerra le cose cambiarono e con essa il tono del libro.
La vita di Helga e della sua "famiglia" è un continuo fuggire alla ricerca di un rifugio che possa accoglierli fino alla fine dei bombardamenti.
Questo li porta a vivere all'interno della cantina del loro palazzo assieme ad altre persone che, come loro, cercano di sopravvivere alla guerra.
E' da questo momento che il romanzo si fa claustrofobico, a mio avviso. Gli occhi di una bambina tendono a rendere le cose più dirette, sicuramente, ma anche meno drammatiche di quello che realmente sono. Il racconto della Schneider diventa, preciso, puntuale e dettagliato, ma non un dettagliato che si fa morboso, i dettagli sono importanti ai fini della storia? Non come la voce di questa scrittrice, che ci offre un quadro completo di quello che è stato vivere per anni in un tugurio con persone che hanno età, esigenze, caratteri e abitudini diverse.
La guerra cambia tutti in modo indelebile e imprevedibile ma anche leggere di quei momenti lascia un senso di inadeguatezza e di dolore che non riesco ad esprimere a parole.
Mi ha colpito molto vedere come la pietà non sia stato un sentimento presente in questa matrigna che decide di accogliere si i figli del nuovo marito, ma di fare veramente suo figlio solo il bambino, perché lei avrebbe sempre voluto avere una maschio, lasciando completamente abbandonata a se stessa la bambina.
E la sofferenza nel non essere accettata da nessuno è palpabile nel romanzo, tanto che a volte ho creduto di provare anche io quello stesso senso di rifiuto che hanno avuto tutti nei suoi confronti.
La persona che la accoglie e la sostiene è il padre della matrigna che la tratta come una nipotina e le fa vivere le privazioni della guerra in modo molto più "leggero" per quanto possibile.
Il personaggio che, però, ho detestato di più è stato il fratellino Peter, un bambino odioso nel vero senso della parola, viziato senza limiti dalla matrigna, un bambino egoista, presuntuoso, maleducato e da far togliere la pazienza anche ai santi.
Una figura che non mi ha generato nessun sentimento positivo anzi, mi ha dato fastidio in tutte le parti dedicate al rapporto con la sorella che, poverina, non ha fatto altro che cercare anche in lui la presenza di quel legame di sangue che non aveva più con nessuno.
Per quello che mi riguarda è stata una bella lettura, passatemi il termine. Un libro importante che, pur trattando temi che si conoscono e che sono stati abbondantemente indagati, favorisce la conoscenza di aspetti quotidiani della vita di queste persone.
Mi ha colpito molto la sensazione che ho avuto leggendo questo libro, una sensazione di pace e tranquillità, da parte dell'autrice, nell'aver accettato una condizione che non avrebbe potuto subire un cambiamento immediato e che ha portato la scrittrice a trovare la forza di andare avanti, nonostante tutto.
Un libro che nel continuo confronto tra la distruzione della città, e la progressiva distruzione della dignità umana, trova sempre un elemento che può far vedere la positività della vicenda.
"Poi mi strinsi nelle spalle, guardai il cielo e mi chiesi se Dio esistesse, se in quel momento mi vedesse e se provasse un po' di pietà. Pietà di una bambina vestita di cenci, dalle scarpe consumate e dalla pelle nera per la sporcizia. Mio Dio, eravamo davvero così sudici?! Giù in cantina la sozzura non si vedeva, anche perché la candela stendeva un velo pietoso sull'orrore. Guardai ancora le rovine e pensai che il sole era la cosa più neutrale che esistesse. Il sole era imparziale, illuminava il brutto e il bello, il patetico e il solenne, l'infamia e la virtù. Il sole era incorruttibile. Gli uomini potevano distruggere Berlino o forse tutto il mondo, ma il sole avrebbe illuminato tutti gli orrori e infine scaldato di nuovo la vita!"
Un libro che mi è piaciuto per la sua schiettezza e durezza nel dire le cose ma senza scendere nel particolare o nella descrizione ossessiva o morbosa che tante volte viene utilizzata quando si trattano queste tematiche. A volte, leggendo storie così forti, ho trovato che le descrizioni molto dettagliate puntassero a far nascere pietà nel lettore, in questo caso, invece, si assiste alla cronaca di quello che è stato, ma non una cronaca giornalistica e asettica.
E' molto tangibile il dolore dell'abbandono, la paura delle bombe, la paura di non farcela, la paura di cadere nelle mani dei vari soldati con cattive intenzioni, ma allo stesso tempo il conforto di trovare una persona, un adulto che la tratti da bambina normale, il conforto di un abbraccio, di un gesto di comprensione, di una parola di incoraggiamento, che, per quanto difficile, ha dato il suo contributo.
Insomma una lettura che consiglio a chi ama il genere ma anche a chi sa poco di cosa significhi vivere una guerra, non importa se passata o presente, un libro che fa riflettere sul fatto che la storia, in realtà, non insegna nulla a nessuno. Una tristissima verità che molte volte chi non vive in quelle situazioni dimentica di considerare come qualcosa di reale e presente tutt'oggi.
Spero di avervi incuriosito e di avervi fatto venire la curiosità nei confronti di queste storie. Il libro è piccolo, sono circa 230 pagine ma è scritto abbastanza grande quindi si legge velocemente, ma è l'intensità di ciò che contiene che lo rende corposo e intenso.
Io ho detto tutto su questo libro, spero che la mia "recensione" vi sia piaciuta. Fatemi sapere se avete letto questo libro, se vi è piaciuto e se non lo avete letto e vi ho fatto venire curiosità. Io vi saluto, vi mando un abbraccio grande e ci rileggiamo presto amici!!!
Ciao! Hai scritto una recensione davvero intensa, così come è profonda la storia di questo libro, che credo sia comunque da leggere, anche se non si è appassionati di questo genere, perché sono purtroppo episodi terribili di vita vera..Io sicuramente lo leggerò :)
RispondiEliminaMa grazie :-) Sono le cose che ho provato leggendolo... E' una scrittrice molto diretta nonostante le cose di cui parla sono crude, soprattutto se si pensa che la maggior parte delle cose che scrive sono autobiografiche... Comunque la consiglio perché è molto interessante :-)
RispondiElimina